Lettera aperta a Matteo Bassetti, “Pinocchi in camice”

Chiarissimo Professore,

      l’ho conosciuta e apprezzata come riferimento televisivo durante la pandemia, in quanto, avendo vissuto per 48 anni come Professore di Chimica Generale all’ Università di Firenze cercando di prendere la forma del mio laboratorio, ho sempre privilegiato chi vantava un curriculum scientifico d’eccellenza rispetto ad altri suadenti pontificatori che, per contro, avevano un curriculum da maestra d’asilo, con tutto il rispetto per la categoria che notoriamente ha il pregio di non pontificare. Con l’aria che tirava ho sempre fatto il tifo per Lei quando una moltitudine di persone diciamo esuberanti, ancorché largamente minoritaria, ma pur sempre stimolata da mass-media disinvolti per non dire eversivi, è arrivata a minacciare addirittura la sua famiglia.
      La vedo autore di un libro che apparentemente non sta ricevendo un largo consenso, probabilmente grazie alla campagna della parte avversa, ma che io ho letto volentieri, che ho trovato piacevolissimo a parte i capoversi stocastici e di fantasia, e che mi porta a esprimerle il mio ringraziamento per averlo scritto. Vien ripetuta la grande lezione di Umberto Eco quando diceva che “i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che parlano come se fossero premi Nobel” perché viene a mancare una guida che porti il lettore a distinguere. Quella guida necessaria che lui aveva identificato in Guglielmo di Baskerville ne “Il nome della Rosa” e che nel nostro caso è costituita dal medico nel suo rapporto col paziente. Purtroppo, basta camminare per strada e vedere la gente sempre compulsata col telefonino in mano per rendersi conto quale pesante impronta abbia lasciato, nel bene e nel male, l’introduzione della meccanica quantistica sull’animo umano.
      Il sottotitolo del libro è “Con la salute non si scherza” ed è quello che pensavo anche io, quando dovendo sottopormi da vecchio e malato a degli esami clinici, per obbedire alle cosiddette linee guida, non ne veniva valutata la pericolosità per la mia salute. Io ho in Alvan Feinstein e nel suo “Clinical Judgement” il mio modello di medicina, ma come Lei ben sa, l’ hanno massacrato professionalmente perché contrario all’Evidence Based Medicine, dal momento che ne sottolineava gli aspetti perversi e devianti. Ma il punto, che Lei sostiene ed è altamente condivisibile, è che ogni atto medico debba prevedere un intervento scientificamente dimostrato. Dovrebbe essere la base di quella che io ho sempre sostenuto essere la professione più bella del mondo, nella quale un essere umano si adopra per cercare di lenire la sofferenza del proprio simile. Purtroppo, nell’affermare questo ci si deve sempre ricordare che la medicina è anche un grande mercato e non sempre viene utilizzato il miglior prodotto, ma secondo le regole del mercato quasi sempre quello che si vende meglio. Così non ho mai sentito nessuno dei maggiorenti della medicina affermare che, benché la teoria parta dal presupposto che una molecola di farmaco in linea di principio debba essere efficace sul 100% dei pazienti, in realtà lo sia solo nel 40% dei casi più un 20% con grossi effetti collaterali. Tutti lo sanno, ma nessuno lo dice, forse per non turbare la serenità dei pazienti ai quali vengono prescritti, o forse no. In questa ottica, che ripeto è altamente condivisibile perché non ne esiste un’altra migliore, Lei si pregia di condannare gli altri atti medici, come per esempio l’omeopatia.
L’omeopatia è una medicina primitiva che io chiamo “medicina delle risultanti”. Essa viene unanimemente condannata dagli esponenti della biomedicina e il suo libro ripete quanto già affermato in precedenza da quelli per esempio di Garattini e di Burioni, anche se al mondo circa 700 milioni di persone la utilizzano correntemente. Capisco che l’esperienza del bambino morto di otite, che Lei ricorda da padre oltre che da medico, sia stata traumatizzante. Ma è anche vero che il comportamento sciagurato di un singolo fa scopa con quello che si legge tutti i giorni sugli episodi di malasanità che avvengono nelle cattedrali della biomedicina. In parole povere, tenuto conto che tutti i componenti della mia famiglia (metà son medici) si portano addosso i segni di decisioni mediche avventate, non sempre un paziente può sentirsi così temerario da abbracciare il medico convenzionale ed esclamare come Cesare al suo timoniere: “Tu porti Cesare e la sua fortuna”. Perché l’ imperfezione, l’illusione e la sovrastima del nostro giudizio fanno parte della nostra natura umana e troppo spesso non si può formulare una verità, a meno di non introdurre un postulato.
      Tralascio una parte delle inesattezze che riporta nella trattazione dell’argomento, per sottolineare un altro aspetto. Quello che c’è di bello nelle vostre affermazioni è che nessuno di voi, nell’esprimere la condanna dell’omeopatia, s’è preso cura di verificare i propri tenet, o almeno questo non appare risultare nella letteratura scientifica. Questo per quel che riguarda il criterio della validazione scientifica, che in questo caso vi guardate bene dal seguire. Le ricordo che Jussieu al famoso processo contro Mesmer si dissociò e fece una relazione di minoranza perché, a differenza degli altri, era uno scienziato serio e ci teneva ad esserlo. Ci sono stati servizi televisivi di noti mezzibusti compiacenti e imparziali (nella loro totale parzialità) in cui supponenti esperti hanno mostrato l’insussistenza della metodologia omeopatica adducendo dati di esperimenti ridicoli. Risiamo più o meno a quando uno zelante ricercatorino tagliò la coda ai topi per dodici generazioni e, visto che continuavano a nascere con la coda, fece concludere alla comunità scientifica che l’evoluzione secondo Lamarck era una bufala. Aveva semplicemente sbagliato l’esperimento. Purtroppo per voi e per me (che quando li ho fatti forse volevo dimostrare il contrario), studi effettuati con tecniche sofisticate hanno dimostrato che l’omeopatia ha una base scientifica ben definita e, anche se è infinitamente meno efficace della biomedicina nelle patologie acute, diventa valida in quelle croniche. Infatti, i test fatti sui DNA-array in numerosi laboratori parlano chiaro e giustificano la metodologia, cosa che nessuno dei detrattori logicamente ama citare. In altre parole, l’esperimento appropriato e non disegnato da uno poco pratico mostra che il farmaco omeopatico non è zucchero, come Lei afferma.
      Purtroppo, la gran parte degli omeopati sposano le tesi del postmodernismo e del pensiero debole e sostengono una metodologia che loro vogliono abbia fondamenti liquidi, come avrebbe detto Zygmunt Bauman. Così facendo saltano in collo ai loro denigratori, anche perché supportati da industrie poco lungimiranti e tremebonde di fronte alla normativa, e si rifiutano di portare avanti programmi di validazione seri, forse per gratificarsi di essere affetti da miopia conclamata con sintomi di pareidolia. Ma ripensandoci, a parte le tragicomiche amenità proferite senza ritegno da alcuni dei sopracitati omeopati con palese nocumento della loro disciplina (che è la stessa di molti dei loro colleghi più seri e meno speperi), non si sente anche Lei un alfiere del pensiero debole, pur con la sua indubbia intelligenza, in cui il soggetto confonde la verità con l’essere, dimenticando i prolegomeni della rivoluzione scientifica? O più semplicemente si mette da parte una verità oggettiva, trascurando dati sperimentali inoppugnabili, per sostituirla con una verità virtuale, ma coerente col quadro in cui siamo inseriti? Il che vuol dire sostituire il mondo con un mondo, perché non si vuole uscire da un credo autoritenuto inattaccabile, rinnegando alcune evidenze.
      Peccato, perché per Lei, con la sua competenza, si sarebbe aperto un campo inesplorato nello studio affascinante di quel superorganismo costituito dall’essere umano e da quel chilo e mezzo di fauna i cui membri, a quanto si legge, sono più numerosi delle cellule umane, e, soprattutto, perché la “farmacologia delle microdosi” avrebbe potuto costituire un importante capitolo per lo sviluppo della medicina del XXI secolo, con rilevanti conseguenze sul piano sociale. Infatti, la portano avanti altri che non si definiscono omeopati, ma più semplicemente scienziati. Per questo mi dissocio dal condannare tale metodologia terapeutica, come Lei ha fatto, perché sono abituato a seguire un ragionamento scientifico e, ormai vecchio, non cambio le mie abitudini.

Sinceramente, con stima
Andrea Dei

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