Il contributo del Presidente della Commissione Regionale di Bioetica della Regione Toscana

Il commento all’articolo di Smith su Bioethics

Zuppiroli risponde a ‘Against Homeopathy, a utilitarian perspective’ di Kevin Smith

Sorprende davvero leggere un articolo così intriso di pregiudizi fondamentalisti su una rivista di buon livello culturale quale Bioethics, Non è infatti con le scomuniche ed i pregiudizi che si percorre il difficile cammino della conoscenza, dove è necessario inoltrarsi armati di tanta umiltà, profondo rispetto e laica curiosità. Se queste fossero le doti dell’Autore, potrebbe cominciare a riflettere proprio sul termine usato nel primo paragrafo – paradosso – e scoprirebbe così che le basi teoriche dell’omeopatia gli risultano inaccettabili perché sfidano il suo paradigma epistemologico. Eppure, è anche con il paradosso che si può stimolare la riflessione, perché ci mette di fronte alla debolezza dei nostri strumenti intellettuali. Ma la strada non è quella, ad esempio, di liquidare la teoria della memoria dell’acqua solo perché non è basata su alcuna “legge chimica o fisica conosciuta” ed ironizzando sul mancato “caos fisiologico” che dovrebbe determinarsi ogniqualvolta beviamo un bicchier d’acqua. Onestà intellettuale, inoltre, vorrebbe che non si considerassero i risultati degli studi a favore dell’efficacia dell’omeopatia come “falsi positivi” solo perché questi ultimi possono verificarsi in qualunque studio. Ancora, non si può dichiarare “ingiustificabile” un trial di ricerca nel campo dell’omeopatia solo perché questa è basata “su principi incompatibili con le conoscenza scientifiche attuali”. Con queste premesse il nostro sapere, pur infinitamente piccolo, caro Kevin Smith, sarebbe progredito ben poco, ed in proposito ti consiglio di rileggere le parole di Einstein: “La verità è ciò che sopporta la verifica dell’esperienza”. Infine, l’Autore bolla come “eticamente inaccettabile” il fatto che gli omeopati, e più in generale coloro che si muovono nell’ambito della Medicina Complementare, non agiscano con imparzialità ma “propongano” le proprie pratiche terapeutiche. Non si è chiesto, però: solo gli omeopati peccano di autoreferenzialità?

E’ con ben altre coordinate che la Commissione di Bioetica della Regione Toscana si è mossa, anche per superare quelle posizioni che affermano che la ricerca nel campo delle Medicine Complementari non sia praticabile o sia addirittura inutile e dannosa. Abbiamo voluto contrastare le posizioni fideistiche per poter aprire la ricerca a qualunque ipotesi, pur sempre entro i limiti del rigore metodologico. Non possiamo infatti non ribadire che la Medicina è Una e che i differenti modelli di pratica medica non possono richiedere un’improbabile conciliazione di paradigmi spesso irriducibili a livello teorico: solo un approccio laico e pragmatico, e nello stesso tempo rigoroso e responsabile da parte di tutte le componenti in gioco potrà portare a realizzare lo scopo ultimo della Medicina, e cioè quello di perseguire la Salute della persona. Se è vero che ogni essere umano può e deve essere parte attiva nella promozione della propria salute e non solo un oggetto passivo di interventi o un consumatore inconsapevole di farmaci o rimedi, qualunque sia il modello di medicina in gioco, se ne deve promuovere la consapevolezza che un organismo ha armi per preservare la propria salute e per guarirsi e che tale potenziale può essere stimolato con adeguate risorse terapeutiche. In questo scenario la Medicina Complementare entra a pieno titolo in una logica d’integrazione con le cure cosiddette tradizionali: è infatti evidente come ormai nella società si sia fatto strada il diritto di veder considerate globalmente le problematiche di salute. Da una parte i limiti terapeutici dimostrati dalla medicina ufficiale nei confronti di patologie, sicuramente non gravi rispetto alla speranza di vita, ma molto influenti sul benessere in generale, e dall’altra i rischi di possibili effetti collaterali legati a farmaci e/o dispositivi medici rendono ormai inevitabile un percorso comune, pena un’ulteriore incrinatura del rapporto medico-paziente, già troppo minato dal riduzionismo biologico e tecnico che troppo spesso caratterizza la medicina ufficiale.
Dobbiamo comunque ribadire con forza che le aspettative del malato non sempre coincidono con i suoi diritti, e che talora perverse logiche di mercato dilatano l’ambito dei bisogni a quello dei desideri, fino a quello dei capricci. Con una Medicina immersa nel Mercato, il rischio è quello di parlare solo il linguaggio dei (falsi) diritti, mentre si deve cominciare ad avere il coraggio di parlare, riguardo alla salute, anche di doveri. In particolare, il primo dovere è proprio quello di riconoscere i diritti degli “altri”, e dunque riconoscere il “limite” entro il quale ci dobbiamo e possiamo muovere, secondo un laico spirito di rispetto, di valorizzazione di identità tra loro diverse, non “contro” ma “verso” chi è altro da sé. Diritti e doveri, dunque, che riguardano tutti noi, cittadini e terapeuti.

Fonte: Alfredo Zuppiroli

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