Omeopatia, in Usa obbligatorie le etichette “non funziona”. Ricciardi (Iss): “Giusto, il welfare scelga le priorità”. Bernardini (Siomi): “Benefici se integrata”

Da “Il Fatto Quotidiano” del 3 dicembre 2016

Negli Stati Uniti l’etichetta “non funziona” su ogni prodotto diventa obbligatorie. E in Italia? “Da noi il consumatore è più tutelato”, dice la dottoressa di medicina integrata. Diffidente l’espondente dell’Istituto superiore di Sanità, che approva la scelta Usa. Come sono fatti, e con quali supervisioni sono commercializzati, i rimedi omeopatici? Ecco le risposte dei due medici

“Non funzionano”. Questa l’etichetta obbligatoria che negli Usa dovrà essere riportata sui prodotti omeopatici da banco, acquistabili in farmacia. Lo ha deciso la Federal trade commission, l’agenzia Usa per la protezione del consumatore. Nella circolare dell’agenzia americana si fa riferimento ai medicinali relativi a sintomi “che si risolvono da soli, senza un particolare trattamento”. Quelli, cioè, non prescritti da un medico. Ma qual è la situazione in Italia, e più in generale in Europa? Come sono fatti, e con quali supervisioni sono commercializzati, i rimedi omeopatici? IlFattoquotidiano.it ha chiesto un parere a due esperti: Simonetta Bernardini, presidente della Società italiana di omeopatia e medicina integrata (Siomi) e responsabile del Centro di medicina integrata dell’Ospedale di Pitigliano, in provincia di Grosseto – l’unico in Italia a offrire, dal 2011, la medicina integrata ai pazienti ricoverati -, e Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss).

Qual è la sua opinione sulla decisione statunitense di avvertire i consumatori dell’inefficacia degli omeopatici? Quali regole ci sono in Italia?

Walter Ricciardi: Sono d’accordo. Gli americani sono molto chiari ed espliciti, noi un po’ meno. In Italia i medicinali omeopatici non possono essere venduti con un’indicazione terapeutica e, anzi, devono riportare per legge, e in grande evidenza, la dicitura “senza indicazioni terapeutiche approvate”. Tanto che, proprio per questo, è vietato fare per questi medicinali qualsiasi forma di pubblicità. Le ragioni di questo divieto nascono dal fatto che essi non sono sottoposti, come per i farmaci della medicina convenzionale, a sperimentazioni rigorose che ne determinano, oltre all’efficacia, anche la sicurezza.

Simonetta Bernardini: Se gli Usa si adeguassero alle regole che in Europa esistono già, sarebbe solo un bene per il consumatore, che saprebbe di acquistare un medicinale privo di effetti tossici. Questo, al momento, non avviene. La regolamentazione europea è conseguenza della direttiva 2001/83/CE, recepita in Italia col DL 219/2006. La direttiva stabilisce che i medicinali omeopatici siano registrati con una procedura semplificata, che non prevede documentazione di prove di efficacia clinica. In questo caso, sulla confezione dev’essere scritto “senza indicazioni terapeutiche approvate”. Viceversa, qualora il prodotto abbia indicazioni terapeutiche, dev’essere registrato con un’altra procedura, non diversa da quella di altri medicinali. Non si tratta, tuttavia, di “inefficacia”, ma di mancanza di indicazioni terapeutiche approvate secondo i canoni della farmacologia convenzionale, poiché scaturiscono dalla tradizione omeopatica. Negli Usa, invece, i prodotti da banco non riportano la dicitura “medicinale omeopatico”, secondo i criteri europei, e questo consente alle aziende di potere mescolare ai medicinali omeopatici anche altre sostanze che omeopatiche non sono. Un aspetto che espone il consumatore a rischi che in Europa non può avere. Infatti, nel caso in cui il medicinale sia omeopatico, oltre a dovere sottostare (in quanto medicinale) a regole di buona fabbricazione, compresa la tracciabilità di ogni lotto, è del tutto privo di effetti tossici. Infatti, la dicitura “omeopatico” prevede che le sostanze in esso contenute siano sempre in concentrazioni molto al di sotto di un potenziale effetto tossico.

Com’è regolamentata nel nostro Paese la presenza di medici che esercitano in strutture pubbliche e prescrivono, oltre ai farmaci, anche i prodotti omeopatici? Si tratta di una possibilità consentita, o vietata?

W.R.: La pratica della medicina omeopatica non è vietata nelle strutture pubbliche e alcune regioni hanno addirittura deciso di integrare prestazioni di terapie complementari nel Sistema sanitario regionale, a fronte del pagamento del ticket. Tuttavia, la medicina omeopatica e tutte le medicine complementari non sono comprese nei livelli essenziali di assistenza e, secondo me, non possono esserlo, a meno che non siano sottoposte a valutazioni scientificamente rigorose. È importante riflettere su questo punto, che non riguarda la libertà di cura ma, a fronte di un welfare sempre più difficile da sostenere, concerne piuttosto la scelta di decidere quali sono le priorità. Se privilegiare, cioè, nell’erogazione delle terapie, ciò che è provato da evidenze scientifiche consolidate e cercare di offrirlo il più possibile a tutti, oppure il marketing e rischiare, soprattutto nei sistemi con maggiore sofferenza, di dovere aumentare il contributo dei cittadini anche per le cure essenziali.

S.B.: In tutta Italia, grazie all’accordo tra Stato e Regioni del febbraio 2013, sono stati stabiliti i criteri per la formazione professionale dei medici che praticano l’omeopatia. Con queste regole è possibile, per coloro che ne sono in possesso, iscriversi presso appositi registri attivati dai rispettivi Ordini dei medici. Questo consente al cittadino di poter sincerare che chi lo sta curando sia un medico abilitato all’esercizio della professione. Ovviamente, il decreto ha posto un grande freno all’abusivismo terapeutico, che in passato è stato responsabile anche di qualche raro caso di morte dovuto alla pratica di una professione medica da parte di ciarlatani. Ormai l’omeopatia è abbastanza diffusa in strutture pubbliche nazionali, dove esistono ambulatori per la cura di patologie gravi, come nel caso dell’oncologia integrata. Attenzione però: la parola “integrata” significa che l’omeopatia non è mai alternativa ai farmaci della medicina ortodossa. Piuttosto, è utilizzata per controllare gli effetti collaterali della chemioterapia e della radioterapia, dando così ai cittadini la possibilità di ridurre l’uso di farmaci chimici, e di migliorare la loro qualità di vita. In Toscana, poiché le medicine complementari rientrano nell’ambito dei Livelli essenziali di assistenza regionali, è possibile esercitare questa medicina nelle strutture pubbliche. Non solo: il costo delle visite è stabilito con la corresponsione di un ticket sanitario, identico a quello dovuto per ogni altra prestazione di medicina ortodossa. Così come analoghi sono i casi di esenzione dal ticket (ad es. bambini fino a sei anni, oncologici o anziani con esclusione dal pagamento per reddito). Rimane, viceversa, a carico del cittadino l’acquisto dei medicinali omeopatici.

Come sono fatti i rimedi omeopatici? Perché ne esistono centinaia di tipi diversi prescritti in modalità differente ai pazienti? Chi li produce e con quali supervisioni?

W.R.: I medicinali omeopatici derivano da sostanze di origine vegetale, animale o minerale, e sono preparati come globuli sublinguali, gocce, creme, tinture madri o pillole. I principi alla base di questi preparati sono che “il simile cura il suo simile”, e cioè che una sostanza che provoca certi sintomi può anche curarli, e che le sostanze tanto più sono diluite tanto più sono efficaci. Al di là della difficoltà di spiegare realmente il loro meccanismo d’azione con criteri scientifici, resta il fatto che l’omeopatia si è dimostrata efficace per qualche indicazione terapeutica solo in pochissime sperimentazioni cliniche, peraltro di scarsa qualità. Si tratta di medicinali con nessun obbligo di indicazioni terapeutiche e di posologia, e perciò rimessi alla totale discrezione del medico che li prescrive. Per quanto concerne, invece, la loro supervisione, le aziende che li producono devono presentare all’Aifa – l’Agenzia italiana del farmaco – un dossier in cui ne è dimostrata la sicurezza, attraverso la conduzione di studi sperimentali di tossicità, garantendo il rispetto dei principi fondamentali della scientificità. Tuttavia, il Consiglio superiore di sanità ha chiesto di riflettere ulteriormente sui criteri di sicurezza da richiedere per la loro immissione sul mercato, trattandosi di prodotti che utilizzano tessuti patologici di origine umana, essudati o secrezioni di tessuti infetti, o ancora materiali di derivazione animale, proprio perché molto utilizzati nei bambini e nelle donne in gravidanza.

S.B.: I medicinali omeopatici sono preparati secondo regole stringenti, riportate nelle farmacopee ufficiali approvate da ciascuno Stato. Le supervisioni sono altissime, con ispezioni a carico del ministero della Salute, che controlla il rispetto delle buone pratiche di fabbricazione come per ogni altro medicinale. I medicinali omeopatici unitari sono privi di brevetto e, quindi, ogni azienda omeopatica può produrli con ricavi molto modesti. Sono, per così dire, patrimonio dell’umanità. Ne esistono molti perché le sperimentazioni, avvenute rigorosamente sull’uomo sano, di sostanze provenienti dal mondo vegetale, animale e minerale sono state fatte per più di due secoli, ed hanno determinato le indicazioni terapeutiche di più di 3000 sostanze. Alcune di esse sono di uso quotidiano (ad esempio Arnica o Belladonna). Altre, invece, sono prescritte anche molto di rado, nel caso di patologie specifiche che richiedano quella particolare sostanza. Esistono poi le specialità: formule complesse messe a punto dalle aziende produttrici e utili per curare alcune patologie specifiche. Semmai, quello che manca in Italia, purtroppo, e che invece è presente in molte Nazioni europee, sono le regole posologiche. In Italia, infatti, non è possibile sapere come si deve prendere una delle specialità aziendali descritte in precedenza. Per questo, sono molte migliaia ormai i farmacisti che hanno frequentato una scuola di omeopatia (o un master universitario, come quello biennale di secondo livello attivato dal 2009 presso l’Università di Siena). E sono proprio i farmacisti che aiutano i cittadini a sapere come devono prendere la loro medicina.

C’è una differenza tra la filosofia dell’omeopatia e i cosiddetti “farmaci omeopatici da banco” che le persone prendono in autodiagnosi?

W.R.: I farmaci da banco sono tra i più standard in assoluto. Un concetto evidentemente estraneo alla medicina omeopatica, che dovrebbe invece esprimere tutto il proprio potenziale terapeutico nella individualizzazione della cura.

S.B.: C’è la stessa differenza esistente tra ogni prodotto da banco, omeopatico e chimico, e la medicina. La medicina si compone, infatti, di una diagnosi e una terapia. Quest’ultima, che scaturisce dall’accurata diagnosi, nel caso dell’omeopatia è strettamente individualizzata, ed è rivolta a ricostruire un equilibrio psico-fisico del paziente, mentre la medicina ortodossa si avvale di farmaci soppressori dei sintomi. Che, però, nelle malattie non a caso definite “croniche” vanno presi a vita. L’uso di un prodotto da banco, se è omeopatico, ha il vantaggio di non esporre il cittadino agli effetti collaterali dei farmaci chimici da banco. Se il paziente, tuttavia, si cura da solo e la diagnosi non è corretta c’è, sia per l’omeopatia che per il farmaco chimico, il rischio di un errore diagnostico, e questo rende l’omeopatia inutile e il farmaco chimico non solo inutile, ma spesso anche dannoso.

C’è qualcosa che salva nell’approccio omeopatico e che andrebbe adottato anche in medicina? 

W.R.: Certamente l’approccio olistico che viene utilizzato nel paziente, l’attenzione all’interazione mente-corpo, che evidentemente è sempre più necessaria, vincono sulla parcellizzazione che spesso viene operata nella medicina tradizionale. Che cura sempre più l’organo e sempre meno la persona nel suo complesso. Tuttavia, credo sarebbe preferibile che la medicina convenzionale recuperasse questo spazio, che è anche uno spazio di dialogo con i pazienti, e che certamente fa parte a pieno titolo della cura. Piuttosto che ritardare cure efficaci, a mio parere un rischio reale, concreto e forse il più importante.

Che cosa l’omeopatia non può in alcun caso sostituire della medicina tradizionale?

S.B.: L’omeopata, secondo il codice di deontologia medica, non deve sottrarre il paziente a cure più efficaci. Pertanto, l’omeopatia non può che essere complementare alla medicina ortodossa, una sua alleata e non un’alternativa. È il medico che fa una diagnosi e sceglie, in scienza e coscienza, di cosa ha bisogno il paziente: se solo del medicinale omeopatico, oppure di entrambi, o ancora solo del farmaco chimico o di un intervento chirurgico. L’omeopatia non cura, ad esempio, il cancro, ma aiuta l’organismo a sopportare meglio le terapie anticancro. Così come può essere molto utile per migliorare il tono dell’umore del paziente colpito da una malattia grave. In allergologia, invece, grazie alla cura omeopatica è possibile svezzare il paziente dal cortisone o dall’antistaminico in un’alta percentuale di casi. Per contro, il diabete di tipo I, cioè quello insulino-dipendente, non può fare a meno dell’insulina. Che, infatti, nessun medico omeopata toglierebbe mai al suo paziente.

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